Mobilità - 03 maggio 2024, 20:00

Prosegue la disputa con le ferrovie ticinesi per salvare le casette della Centovallina

La petizione ha raggiunto le 10mila firme che sono state consegnate al Consiglio di Stato

Prosegue la disputa con le ferrovie ticinesi per salvare le casette della Centovallina

Il 12 aprile sono state consegnate al Consiglio di Stato le prime 10mila firme raccolte per la petizione “Per altri cento anni di Centovallina al servizio del pubblico”, un’iniziativa che si oppone alle modifiche alle stazioni ferroviarie tra Locarno e Camedo. Le FART (Ferrovie Autolinee Regionali Ticinesi) rispondono con nove pagine. Simona Procacci, portavoce della petizione, replica duramente alle ferrovie ticinesi.

Queste le sue parole:

“La petizione chiede alle FART di ripensare i progetti, tenendo maggior conto delle necessità pratiche di chi viaggia e del valore sociale, storico e culturale delle stazioni della Centovallina per la realtà locale. Anche la STAN (Società Ticinese per l’Arte e la Natura) si è espressa contro l’abbattimento degli edifici storici delle stazioni di Tegna e Intragna. Altre opposizioni sono arrivate da parte di privati e del Comune di Centovalli. Parte della risposta delle FART è stata resa pubblica dal quotidiano La Regione. Quanto citato spiega senza mezzi termini come le responsabilità per i contestati progetti ricadano soprattutto sulle istituzioni stesse, sia cantonali che federali, dal momento che “nonostante le 10mila firme raccolte dalla petizione, in realtà le opposizioni sui progetti sono state poche”. Non comunicate rimangono, invece, le conclusioni finali: intendono le FART dare ascolto al sondaggio sorto in maniera spontanea internamente all’utenza del loro servizio? Oppure la vecchia logica imprenditoriale vieta ai suoi sostenitori di corrispondere all’amore dichiarato da così tanti simpatizzanti dello storico trenino?

Nonostante l’apparenza da disputa di paese, la questione non fa che esplicitare a livello locale la più globale e irrisolta problematica della sostenibilità. Il contesto climatico è forse il più ovvio: mentre la corte Europea riconosce vittime dei cambiamenti climatici le anziane svizzere, e nelle città del mondo si cercano soluzioni alle cosiddette isole di calore, le FART asfaltano, eliminano aree verdi e installano minimaliste tettoie in vetro. Il fatto che il territorio ticinese sia prevalentemente non urbano non ne giustifica la cementificazione; avvalersi di una simile dialettica è manifestare aperta insensibilità al benessere di chi aspetta il treno alle nostre latitudini da aprile a ottobre.

Nel caso la popolazione locale non interessi, occorre sottolineare che in questa categoria rientrano anche i tanto beneamati turisti d’oltralpe. Al primo raggio di sole si precipitano a percorrere le nostre valli in lungo in largo attirati da romantiche locandine raffiguranti verdeggianti paesaggi ticinesi. Bisognerà spiegare loro che adesso anche in Ticino siamo al passo coi tempi, prima di risolvere un problema, bisogna effettivamente crearlo. Uno dei circa 7mila firmatari germanofoni scrive di aver firmato la petizione “per evitare in futuro un immediato dietrofront una volta sceso a Intragna, pensando di essermi smarrito in un agglomerato della Svizzera interna”. Non solo il benessere diminuirebbe, quindi, ma anche il magnetico romanticismo ticinese. Secondo le FART si tratta di “questione di punti di vista”, in fondo non è il primo progetto a stonare con il patrimonio architettonico locale. Quale punto di vista dovrebbe avere più peso, in una società democratica, di quello di migliaia di contribuenti? Non è certo la volontà di una censura creativa a riscuotere una si grande reazione alla raccolta firme. L’indignazione sorge piuttosto in risposta alle stridenti incongruenze tra la ricalcata simbologia storica e l’ignoranza nei confronti dell’identità culturale in questione. Tra il pubblicizzare nuove stazioni accessibili a tutti e realizzare rapidamente inutili manufatti non conformi ai progetti. Tra l’offerta di collegamenti più frequenti e l’esclusione delle zone periferiche. Una strumentalizzazione dei valori che induce a interrogarsi sulla sostenibilità democratica di questa impresa di trasporto pubblico. O forse è così che si fa? Si plasma il paesaggio come fosse un bene di consumo, pianificando noncuranti con il presupposto dei ricorsi? La fase progettuale esisterebbe allora per mera propaganda o feticismo burocratico. Forse invece l’insensibilità è di chi protesta. Irrispettoso dei disegni delle FART per il futuro della Centovallina, intralcia i preparativi per accogliere il turismo di massa internazionale sulla via dell’esilio dalle Canarie. Questo tipo di clientela in effetti è più facile da accontentare: utilizza solo le stazioni ai capolinea, anzi, in questo modo si potrebbero anche abolire del tutto le fermate intermedie! Il futuro del trenino dipende quindi dall’esito di questo dibattito ontologico: più di (ora) 11mila svizzeri chiedono che rimanga “al servizio del pubblico”, le FART rispondono che questo sarebbe complicato. Se il Consiglio di Stato non dovesse tener conto dell’iniziativa, sarà necessario interpellare Berna o forse Bruxelles. L’ecosistema e la cultura radicati nelle alte valli ticinesi possono considerarsi minacciati dalla miopia imprenditoriale locale? Speriamo di non lasciare ai posteri l’ardua sentenza”.

Redazione

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