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io_viaggio_leggero | 27 settembre 2025, 07:00

Liberi di andare, quando i viaggi in moto diventano uno stile di vita: intervista a Francesco

In questa rubrica, troverete interviste a viaggiatori ed esperienze vissute in prima persona. Luoghi da scoprire, avventure emozionanti, e anche storie di vita. Se hai un’esperienza da raccontare… scrivi a: ioviaggioleggero@gmail.com

Francesco Belgrano, classe 1982, è nato a Imperia. Professionista nel campo del digital marketing, ha trasformato la sua vita in un viaggio continuo, vivendo e lavorando sempre in movimento. Per lui la moto non è solo un mezzo: è un simbolo di indipendenza e libertà.

Come nasce questa passione per i viaggi in moto?

In un modo un po’ bizzarro. Mi trovavo all’ennesimo crocevia della vita: non mi mancava nulla, eppure sentivo che potevo chiedere qualcosa di più a me stesso. Così, nel 2008, ho comprato una moto. Senza patente, senza sapere come si guidasse. Ho iniziato con un giro d’Italia: le prime volte sono caduto spesso, ma non ho mai perso la voglia di continuare. Da allora le due ruote sono diventate il mio modo di attraversare il mondo.

 

Com’è stare da solo, per ore, in sella?

La moto è un luogo sospeso, dove resti soltanto con te stesso. Nel silenzio del casco, una strada deserta lascia correre i pensieri; su un passo di montagna o nel caos di una città, invece, ogni senso si tende come una corda. La vera sfida è non rimanere intrappolati nella mente, ma restare presenti e godersi ciò che hai davanti. Negli ultimi viaggi sto imparando a farlo. Quando ci riesco è come aprire una finestra: respiri a pieni polmoni e il mondo entra davvero.

 

Uno dei tuoi viaggi più importanti?

La Via della Seta. Dopo pochi chilometri, sono rimasto a piedi. Poi di nuovo a Piacenza. Superati i primi intoppi, ho attraversato i Balcani, la Turchia, la Georgia e l’Azerbaigian. Per entrare in Asia Centrale ho dovuto prendere una nave mercantile sul Mar Caspio: il passaggio a sud era chiuso per la questione cecena. Ricordo l’odore di gasolio della stiva e la sensazione di sospensione in mezzo all’acqua, sapendo che la terra che mi attendeva sarebbe stata un mondo diverso. Poi il Kazakistan e l’Uzbekistan, con i loro paesaggi sterminati. Mi sono spinto fino ai confini con la Cina, ma lì mi sono dovuto fermare: con mezzi propri l’ingresso è complicato e molto costoso.

Un momento che ti ha emozionato durante quel viaggio?

Nel deserto dell’Uzbekistan ho provato un senso di libertà assoluta. Il giorno prima, dopo una caduta, avevo rotto la moto e dormito in tenda sotto un cielo straripante di stelle, circondato da cammelli. All’alba sono ripartito e, a un certo punto, mi sono alzato in piedi sulla pedaliera. Davanti a me solo un orizzonte piatto, infinito. Dal nulla ho iniziato a piangere. Non so spiegare cosa fosse, ma per un attimo ho sentito qualcosa di totale, più grande di me.

 

Molti sognano un lungo viaggio in moto, ma ne sono intimoriti. Cosa diresti loro?

Non ho mai avuto competenze meccaniche, eppure non mi sono mai fermato per questo. Se ti fai troppe domande, la vita ti scivola via. Parti e basta: il resto si impara strada facendo. Gli imprevisti arrivano, ma si risolvono. Mi è capitato anche di lasciare la mia moto e proseguire senza, durante un viaggio verso la Siberia. Ero in Kirghizistan: la sera c’erano 25 gradi, la mattina dopo -2. Ho controllato le previsioni: più a nord mi attendevano -40. Non ero equipaggiato per affrontarli. Così ho lasciato che fosse il destino a decidere. Mi sono detto: “Il primo viaggiatore che entra nell’ostello mi dirà dove andare domani”. È entrato un ragazzo iraniano. Due giorni dopo ero in Iran, in aereo, avevo lasciato la moto a uno sconosciuto contattato online. Due mesi senza notizie, finché un giorno me la sono vista recapitare a casa.

 

Come riesci a lavorare viaggiando sempre?

Non è una vacanza permanente: è uno stile di vita. Se lo vivi come un sogno a occhi aperti, ti schianti. Ci sono fusi orari che sballano il ritmo, connessioni instabili, giornate complicate. Il nomade digitale non si trasferisce, si muove e ogni spostamento è una sfida logistica e mentale. A volte il lavoro prende il sopravvento, e va accettato. Ho scelto di lavorare online per portare la mia vita dentro il viaggio, non per considerare il viaggio un capitolo a parte. Significa saper trarre valore da ogni luogo: scrivere in un bar di periferia, fare riunioni con un generatore acceso accanto, guardare un tramonto tra due scadenze. È un equilibrio da trovare col tempo, ma che restituisce una libertà difficile da paragonare.

 

C’è un viaggio che ti ha trasformato più degli altri?

L’Africa, la mia ultima avventura. Sette mesi, 43.000 chilometri, quasi una circumnavigazione del continente. Dalle dune del Sahara alle foreste equatoriali, dalle città portuali dell’Oceano Indiano ai villaggi polverosi dell’interno, ogni tappa era un mondo a sé. Di solito i viaggi hanno bisogno di tempo per sedimentare, ma lì il cambiamento è arrivato subito. Ho attraversato fasi diverse — entusiasmo, stanchezza, euforia, solitudine — fino a sentire che la strada stessa era diventata casa. Forse, perché in Africa sei costretto a vivere un presente che diventa quotidiano.

“Liberi di andare”: di cosa si tratta?

È il nome del mio progetto, ma prima ancora è una frase di mia madre: “Quando avrai diciott’anni sarai libero di andare dove vorrai”. Oggi è una pagina Instagram dove racconto i miei viaggi attraverso esperienze autentiche. Non sono cartoline patinate, ma la realtà che incontro, nel bello e nel difficile. È un invito a partire: che tu lo faccia per un mese o per una vita intera.

Marco Di Masci

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