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io_viaggio_leggero | 11 ottobre 2025, 07:00

Cambiamento climatico: il viaggio in equilibrio tra desiderio e responsabilità

In questa rubrica troverete anche approfondimenti e riflessioni sul mondo Travel. Pensieri a voce alta e considerazioni su nuovi approcci e nuovi orizzonti; nel terzo millennio anche il modo di viaggiare è in continua mutazione

Cambiamento climatico: il viaggio in equilibrio tra desiderio e responsabilità

Un tempo viaggiare significava cercare la meraviglia. Le guide parlavano di ghiacciai eterni, di barriere coralline vive e coloratissime, di spiagge che sembravano immutate da secoli. Quelle immagini portavano con sé la promessa dell’infinito. Oggi, però, la promessa si è incrinata. I luoghi che ci avevano insegnato l’idea di “per sempre” stanno diventando fragili. Viaggiare, nel XXI secolo, non è più soltanto un atto di scoperta: è un confronto diretto con un mondo che sta peggiorando.

Alle Maldive, alle Kiribati o a Tuvalu, il mare ha già superato la soglia di sicurezza. Gli abitanti vivono nell’attesa di un’onda troppo alta, i turisti arrivano con il desiderio di “vederle prima che spariscano”. È un paradosso crudele: ogni volo intercontinentale che li porta fin lì contribuisce, anche se di poco, a rendere più vicina quella scomparsa. Il cambiamento climatico sta ridisegnando anche le mappe del desiderio. L’Artico attrae chi vuole osservare i ghiacci “finché ci sono”. I fiordi norvegesi si riempiono di crociere che inseguono balene e aurore boreali, trasformando l’estinzione in esperienza estetica. È il turismo del “testimone oculare”, quello che vuole esserci prima della fine. Ma viene da chiedersi: osservare la fragilità è davvero un modo per salvarla? O la stiamo consumando un’ultima volta, con lo sguardo?

La crisi climatica non abita solo nei luoghi lontani da noi. Riguarda anche il cuore dell’Europa, che per decenni ha incarnato l’idea di continuità. Le estati torride trasformano Atene e Siviglia in crogioli di luce e asfalto, dove le ore vivibili si riducono al mattino e alla sera. Sulle Alpi la stagione bianca è sempre più corta, e le stazioni sciistiche si reinventano tra neve artificiale, sentieri estivi e festival fuori stagione. Venezia, che da secoli galleggia su un equilibrio fragile, oggi somiglia sempre più a una “cartolina”. Ogni acqua alta non è più un evento, ma un avvertimento. Camminare in Piazza San Marco significa percepire la bellezza e, insieme, la sua precarietà: quanto tempo ci resta per vederla così com’è?

Di fronte a questo scenario, il viaggio non scompare di certo, ma può cambiare forma. Oggi c’è chi sceglie di spostarsi in primavera o in autunno, chi riscopre mete più vicine, chi rinuncia all’aereo e sale su un treno notturno. Parigi-Vienna, Berlino-Stoccolma, Milano-Barcellona: tratte che tornano in voga dopo decenni. Non offrono la velocità, ma la sospensione. Quel tempo lento che avevamo smarrito tra un check-in e un gate. In un mondo che misura tutto in minuti, il “proprio passo” è diventato una forma di lusso. Forse per questo i cammini stanno vivendo una nuova stagione. La Via Francigena, il Cammino di Santiago, le rotte appenniniche e i sentieri delle isole: percorrerli significa rinunciare all’ansia di arrivare, restituendo valore al percorso. Anche qui, però, il numero crescente di viaggiatori impone un interrogativo. È un turismo che impatta meno sull’ambiente? Probabilmente sì, ma nessun passo è davvero leggero se a muoversi sono milioni di piedi.

Il turismo rappresenta oggi circa il 10% delle emissioni globali. Davanti a questi dati, qualcuno sostiene che non sia preoccupante mentre altri pensano che si debba viaggiare meno. Ma il viaggio non è solo svago: è conoscenza, scambio, economia locale. Spegnerlo non è possibile, ignorare che sia inquinante non sarebbe altrettanto giusto. Il punto è capire come viaggiare. Alcune destinazioni stanno cercando una via diversa. In Nuova Zelanda le campagne governative invitano i visitatori a comportarsi da ospiti e non da consumatori: “Ti lasciamo la nostra casa, trattala come faresti con la tua.” In Islanda si discute su una tassa ambientale che finanzi la tutela dei paesaggi naturali, un modo per rendere il visitatore partecipe della conservazione. Non sono soluzioni perfette, ma segnali di un cambio di prospettiva.

Eppure il viaggio, se guidato dalla consapevolezza, può anche diventare parte della soluzione. In Africa, in zone colpite dalla siccità, alcune comunità hanno trovato nel turismo responsabile una forma di rinascita: i visitatori finanziano progetti di tutela e di formazione, e i parchi naturali diventano laboratori di convivenza tra uomo e ambiente. Non si tratta di “salvare il mondo viaggiando”, ma di riconoscere che ogni scelta incide. In fondo, viaggiare oggi è un “atto politico”, anche quando non lo intendiamo come tale. Scegliere il treno invece dell’aereo, restare due settimane invece che due giorni, dormire in una casa locale piuttosto che in una catena globale: ognuno di questi gesti definisce un modo diverso di abitare il pianeta. Il futuro del viaggio non sarà fatto di rinunce assolute, ma di compromessi intelligenti: spostarsi meno, restare di più. Non più collezionare timbri sul passaporto, ma vivere temporaneamente un territorio, rispettarlo, contribuire al suo equilibrio. Non dovrebbe essere solo trovare paesaggi incontaminati, ma riconoscere la loro fragilità e decidere di proteggerla. Ma la verità è che ..nessuno di noi vuole essere quello che rinuncia a “calpestare” quel terreno, anche se sa che è sbagliato !

Il viaggio non ha perso poesia, deve solo scriverla in modo diverso. Non è più quella dell’infinito, ma della cura. Una nuova frontiera: muoversi con occhi attenti e senza lasciare tracce indelebili.

Marco Di Masci

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